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judo, sport

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nik-rail
view post Posted on 22/1/2009, 21:27




Il termine jūdō è composto da due kanji (caratteri giapponesi): 柔 (jū, cedevolezza) e 道 (dō, via) e significa quindi via dell'adattabilità (alla forza nemica), cedevolezza; con questo, si cerca di spiegare che il modo per vincere una forza non è opporvisi, bensì il contrario: sfruttarla e dirigerla per il proprio fine.

Sotto il peso della neve i rami del salice si flettono in modo da poterla scaricare a terra e riprendere cosi la posizione naturale, al contrario della "robusta" quercia che finirà invece per spezzarsi. Il tema dell'assecondare la forza nemica è fondamentale nella cultura del guerriero samurai, poiché riprende uno dei concetti espressi talvolta nel buddhismo e soprattutto nel classico cinese detto "Libro dei Mutamenti" (Yijing) che afferma che l'universo è regolato da correnti di forza e che occorre incanalarsi in queste correnti applicando la forza minima necessaria ad ottenerne il controllo. Opporvisi invece non porta alcun risultato poiché si resterebbe privi di energia.

Il jūdō si appoggia su un codice morale instaurato dal suo fondatore Jigorō Kanō che esalta otto qualità essenziali che il judoista (o judoka) deve sforzarsi di avvicinare durante il suo apprendistato:

* L'educazione
* Il coraggio
* La sincerità
* L'onore
* La modestia
* Il rispetto
* Il controllo di sé
* L'amicizia

Storia del judo [modifica]
Scrittura di Jūdō con i kanji
Pittogramma olimpico del Jūdō

Il judo trae le sue origini dall'antico jujitsu: il suo fondatore Jigorō Kanō studiò e approfondì diverse scuole di jujitsu giungendo ad ottenere il grado di Shihan (maestro) in due di queste, chiamate Tenshin shin'yo (specializzata in Katame waza, ossia lotta corpo a corpo, strangolamenti, leve articolari) e Kito (specializzata in Nage waza, tecniche di atterramento al suolo).

Quest'ultima era famosa per praticare lo yoroi gumi uchi (combattimento con l'armatura), una sorta di randori (pratica libera) con tecniche di proiezione, a differenza delle altre scuole che praticavano principalmente i kata (forme preordinate). I suoi studi gli consentirono nel 1882 di approntare il proprio metodo, secondo la norma dell'epoca che consentiva allo shihan di almeno due stili di poterne fondare uno nuovo, cui diede il nome di Judo Kodokan, il cui significato per esteso è scuola dove si insegna la via della cedevolezza.

Tutto questo avvenne in un contesto storico particolare: Il 1853 aveva segnato una data storica per il Giappone: il commodoro Matthew C. Perry, della Marina Americana, entra nella baia di Tokyo con una flotta di 4 navi da guerra consegnando allo Shogun un messaggio col quale si chiedevano l'apertura dei porti e trattati commerciali. Lo Shogun, probabilmente intimorito dalla dimostrazione di forza, rimise la decisione nelle mani dell'Imperatore che accettò quanto proposto. Per il Giappone, che fino a quel momento aveva vissuto in completo isolamento dal resto del mondo, inizia l'era moderna. La definitiva caduta dell'ultimo Shogun avvenuta nel 1867 ripristinò definitivamente il potere imperiale che, a segno di una definitiva uscita del Giappone dal periodo feudale, promulgò nel 1876 un editto col quale si proibiva il porto delle spade, decretando la scomparsa della classe sociale dei samurai, che avevano dominato per quasi mille anni.

Vi furono importanti cambiamenti culturali nella vita dei giapponesi dovuti all'assorbimento della mentalità occidentale e naturalmente ciò provocò un rigetto per tutto ciò che apparteneva al passato, compresa la cultura guerriera che tanto aveva condizionato la vita del popolo durante il periodo feudale. Il jujitsu, facente parte di questa cultura, da nobile che era scomparve quasi del tutto. Le antiche arti del combattimento tradizionale vennero ignorate anche a causa della diffusione delle armi da fuoco ed i numerosi dojo allora esistenti furono costretti a chiudere per mancanza di allievi; i pochi rimasti erano frequentati da ex guerrieri dediti a combattere per denaro e spesso coinvolti in crimini. Questo influenzò ulteriormente il giudizio negativo del popolo nei confronti del jujitsu nel quale vedeva un'espressione di violenza e sopraffazione.

È in questo contesto di cose che si inserisce la figura di Jigorō Kanō: egli, professore universitario di Inglese ed economia, dotato di notevoli capacità pedagogiche, intuì l'importanza che potevano avere lo sviluppo fisico e la capacità nel combattimento se venivano usate proficuamente per lo sviluppo intellettuale dei giovani.

Per prima cosa eliminò tutte le azioni di attacco armato e non che potevano portare al ferimento a volte anche grave degli allievi: queste tecniche furono ordinate solo nei kata, in modo che si potesse praticarle senza pericoli. Poi studiò e approfondì il nage waza appreso alla scuola Kito, formando così un sistema di combattimento efficace e gratificante. Ma la vera evoluzione rispetto al jujitsu si ebbe con la formulazione dei principi fondamentali che regolavano la nuova disciplina: Seiryoku zen'yō (il miglior impiego dell'energia fisica e mentale) e Jita kyo'ei (tutti insieme per crescere e progredire). L'uomo migliora sé stesso attraverso la pratica del judo e contribuisce al miglioramento della società, e questo è possibile solo con la partecipazione intelligente di tutti. Lo scopo finale del jujitsu era il raggiungimento della massima abilità nel combattimento; nel judo l'abilità è il mezzo per giungere alla condizione mentale del "miglior impiego dell'energia".
Jigorō Kanō, fondatore del moderno judo

Ciò significa impiegare proficuamente le proprie risorse, il proprio tempo, il lavoro, lo studio, le amicizie, ecc., allo scopo di migliorarsi continuamente nella propria vita e nelle relazioni con gli altri, conformando cioè la propria vita al compimento del principio del "miglior impiego dell'energia". Si stabilì cosi l'alto valore educativo della disciplina del judo, unita alla sua efficacia nel caso venisse impiegato per difendersi dalle aggressioni.

Il judo mira a compiere la sintesi tra le due tipiche espressioni della cultura giapponese antica e cioè Bun-bu, la penna e la spada, la virtù civile e la virtù guerriera: ciò si attua attraverso la pratica delle tre discipline racchiuse nel judo, chiamate rentai (cultura fisica), shobu (arti guerriere), sushin (coltivazione intellettuale).

Il judo conobbe una straordinaria diffusione in Giappone, tanto che non esisteva una sola città che non avesse almeno un dojo, e parallelamente si diffuse nel resto del mondo grazie a coloro che viaggiando per il Giappone (principalmente commercianti e militari) lo appresero reimportandolo nel loro paese d'origine. Non meno importante fu la venuta in Europa intorno al 1915 di importanti maestri giapponesi, allievi diretti di Jigoro Kano, che diedero ulteriore impulso allo sviluppo del judo, tra cui Koizumi in Inghilterra e Kawaishi in Francia.

Jigorō Kanō morì nel 1938, in un periodo in cui il Giappone, mosso da una nuova spinta imperialista, si stava avviando verso la seconda guerra mondiale. Dopo la disfatta, la nazione venne posta sotto il controllo degli USA per dieci anni e il judo fu sottoposto ad una pesante censura poiché catalogato tra gli aspetti pericolosi della cultura giapponese che spesso esaltava la guerra.
Fu perciò proibita la pratica della disciplina ed i numerosi libri e filmati sull'argomento vennero in gran parte distrutti. Il judo venne poi "riabilitato" grazie al CIO (comitato olimpico internazionale) di cui Jigorō Kanō fece parte quale delegato per il Giappone, e ridotto a semplice disciplina di lotta sportiva ma i suoi valori più profondi sono ancora presenti e facilmente avvertibili dai partecipanti.

Ai giorni nostri [modifica]

A partire dal dopoguerra, con l'organizzazione dei primi Campionati Internazionali e Mondiali, e successivamente con l'adesione alle Olimpiadi, il judo si è sempre più identificato come sport da combattimento, mutuandone le caratteristiche di agonismo che provenivano dalle discipline di lotta occidentali. Si è perciò cominciato a privilegiare la ricerca del vantaggio minimo che permette di vincere la gara, a discapito del gesto tecnico più spettacolare ma più rischioso.

L'entrata in scena, avvenuta negli anni ottanta, degli atleti dell'ex URSS, aventi una lunga tradizione di lotta sambo alle spalle, non ha che aumentato questo fenomeno. Oggi si assiste a numerose tecniche derivate dalla lotta libera che per efficacia in gara si contrappongono alle tecniche tradizionali del judo ma che ne tradiscono l'indirizzo bujutsu che le caratterizza. In conseguenza di ciò, si è sviluppata la tendenza a privilegiare un tipo di insegnamento che metta in condizioni gli allievi di guadagnare da subito punti in gara, punti che vengono utilizzati per determinare il passaggio di cintura, tralasciando l'aspetto educativo della disciplina. Questa pratica è spesso indice di scarsa preparazione degli istruttori, che non comprendono la necessità di fornire un'adeguata base tecnica prima di focalizzarsi sulla gara vera e propria.

Allo scopo di riaffermarne il valore, si sono costituite nel tempo Federazioni Sportive anche di carattere internazionale che tendono a far rivivere i principi espressi dal Maestro Jigorō Kanō, quantunque anch'esse si dedichino all'attività agonistica. Queste federazioni sono riunite all'interno di Enti di Promozione Sportiva riconosciuti dal CONI, quali, CSI, UISP, [[[CSEN][1]]], ACSI, ed altre. In Italia la federazione ufficiale appartenente al CONI è la FIJLKAM (Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali).

Questo non significa però che vi siano due tipi di scuole o che una sia meglio dell'altra: come ebbe a dire lo stesso Jigoro Kano (Yuko no Katsudo, rivista edita in Giappone, 1925) "anche nel periodo antico esistevano Maestri che impartivano nozioni di tipo etico oltre che tecnico: si trattava di esempi illuminati ma che, tenendo fede al loro impegno di Maestri, dovevano necessariamente privilegiare la tecnica. Nel judo invece gli insegnanti devono percepire la disciplina soprattutto come educazione, fisica e mentale". A tutt'oggi, il monito del fondatore appare più che mai azzeccato, dovendosi necessariamente affidare (o affidare i propri figli) a dei maestri che a volte perdono di vista la loro funzione di educatori privilegiando il risultato sportivo. Jigoro Kano aggiungeva inoltre che "per coloro che si dimostrassero particolarmente portati alla competizione è lecito interpretare sportivamente la disciplina, purché non si dimentichi che l'obiettivo finale è ben più ampio". Nella scelta di un dojo è pertanto importante quindi affidarsi a maestri di provata esperienza che tengano corsi per tutti, non solo per l'agonista, e questo può avvenire tanto in ambito Federale quanto in quello Promozionale dove a volte, per dimostrare di non essere da meno, ci si impegna eccessivamente nelle gare.

Le tecniche [modifica]

Tipologie di tecniche [modifica]

Il judo si suddivide in nage waza (proiezioni), katame waza (controlli), e atemi waza (percussioni). I primi due gruppi comprendono le tecniche applicabili in randori o in gara, mentre gli atemi si praticano solo nei kata.

Tecniche di proiezione (Nage waza) [modifica]

Lo scopo delle tecniche utilizzate nel judo è sbilanciare l'avversario per proiettarlo farlo cadere al suolo: ciò è chiamato Nage waza (tecniche di proiezione). L'apprendimento è strutturato secondo un sistema chiamato Go kyo che ordina 40 tecniche in 5 classi in base alla difficoltà di esecuzione e alla violenza della caduta. L'arte di proiettare l'avversario al suolo dalla posizione eretta è definita Tachi waza e si suddivide in tre categorie:

* tecniche di braccia: te waza
* tecniche di anca: koshi waza
* tecniche di gambe: ashi waza

Abbiamo poi le cosiddette tecniche di sacrificio: sutemi waza, dove il praticante accetta di perdere il suo equilibrio, gettandosi egli stesso a terra invece di mantenersi in piedi, per fare cadere il suo avversario. Queste a loro volta sono suddivise in:

* sacrificio sul dorso della schiena: ma sutemi waza
* sacrificio sul fianco della schiena: yoko sutemi waza


Tecniche di controllo (Katame waza) [modifica]

Un ulteriore gruppo di tecniche, viene definito Katame waza, tecniche di controllo, suddivise in:

* tecniche di immobilizzazione, osae komi waza (applicabili dopo aver atterrato l'avversario), in cui si tiene l'avversario a terra con le spalle al tappeto.
* tecniche di lussazione degli arti, kansetsu waza
* tecniche di soffocamento e di strangolamento[1] , shime waza (ulteriormente suddivise in "di fronte, da dietro, con le gambe").

La maggior parte di queste tecniche viene effettuata durante la lotta a terra, detta ne waza, ma alcune di esse sono applicabili anche in piedi.

Tecniche di colpi all'avversario (Atemi waza) [modifica]

L'ultimo gruppo di tecniche è chiamato Atemi waza, o l'arte di colpire l'avversario e si divide in:

* attacchi con gli arti superiori: ude ate (a sua volta suddiviso in Kobushi-ate con il pugno; Yubisaki-ate o colpi portati con la punta delle dita; Tegatana-ate con il lato della mano ed Hiji-ate con il gomito)
* attacchi con gli arti inferiori: ashi ate (a sua volta suddiviso in Hizagashira-ate ovvero colpi con il ginocchio, Sekito-ate o colpi con l'avampiede; Kakato-ate ovvero colpi portati con il tallone)

La pratica di quest'ultime è effettuata solo nei Kata (forme preordinate) e comprende anche tecniche basilari di attacco-difesa da coltello, bastone, spada e pistola.

Le cadute (ukemi) [modifica]

È molto importante per un judoka saper cadere senza farsi male; queste sono le prime nozioni che vengono insegnate. Esistono quattro diversi tipi di cadute:

* Mae ukemi - caduta in avanti frontale
* Mae kai ten ukemi oppure "Zem Po Kai Ten Ukemi" caduta in avanti con rotolamento suddivisa in Migi (destra) e Hidari (sinistra).
* Ushiro ukemi oppure "Ko Ho Ukemi" - caduta indietro
* Yoko ukemi oppure "Soku Ho Ukemi" - caduta laterale anch'essa divisa in Migi e Hidari.

Il judo moderno interpreta la caduta come una sconfitta: in realtà si tratta di una vera e propria tecnica per consentire al corpo di scaricare l'energia cinetica accumulata durante la proiezione. Se male eseguita, possono verificarsi infortuni quali lussazione della spalla, urti del capo a terra, danni ai piedi ecc.

Fasi di esecuzione di una tecnica [modifica]

La possibilità di poter eseguire con successo una tecnica di proiezione è fondata sull'ottenimento di uno squilibrio (kuzushi) dell'avversario mediante azioni di spinta, trazione, prese sulla giacca. Vengono dette Happo-no-kuzushi "le 8 direzioni di squilibrio" lungo le quali il baricentro del corpo dell'avversario è spostato rispetto alla posizione naturale. Esse sono disposte idealmente a mo' di rosa dei venti, ossia verso l'avanti, indietro , laterale e le quattro diagonali.

L'esecuzione di una tecnica richiede quindi due fasi.

* Far perdere la posizione o l'equilibrio, ottenendo cioè una delle 8 situazioni descritte, è denominato tsukuri, ovvero "costruzione, preparazione".
* Solo dopo che tramite azioni di tsukuri si è riusciti a pervenire ad un kuzushi è possibile attaccare l' avversario con una tecnica efficace e idonea all'opportunità creatasi. Tale operazione è chiamata kake o "applicazione".

Principi di esecuzione delle tecniche [modifica]

* SEN, l'iniziativa

* GO NO SEN, il contrasto dell'iniziativa

* SEN NO SEN, l'iniziativa sull'iniziativa

Il principio SEN è tutto ciò che riguarda l'attaccare un avversario (kake) mediante tecniche dirette o concatenate (renraku waza, successione).
SEN si applica in primo luogo tramite azioni di tsukuri mirate a sviluppare l'azione mantenendo l'iniziativa, continuando ad incalzare l'avversario con attacchi continui atti a portare l'avversario in una posizione vulnerabile che permetta di attaccarlo con la tecnica preferita (tokui waza)

Il principio GO NO SEN si attua con l'uso dei bogyo waza (tecniche di difesa). Dette tecniche, applicabili subendo un attacco per contrastarlo, vengono suddivise in CHOWA (schivare), GO (bloccare), YAWARA (assecondare).
Scopo delle tecniche di difesa è recuperare una posizione che permetta di controllare la situazione o di condurre un attacco.

Il principio SEN NO SEN riguarda la controffensiva che tori (colui che agisce) sviluppa nell'istante in cui sta per partire l'attacco avversario. Dal momento che uke (colui che subisce) si trova seppur involontariamente in una posizione di precario equilibrio a causa del suo tentativo di tsukuri, occorre anticiparlo prima del suo kake.
L'assidua pratica nel randori (combattimento libero) è fondamentale per sviluppare la capacità di percezione delle azioni dell'avversario. Tale principio realizza il KAESHI , espressione di un modo evoluto di condurre il combattimento in cui si lascia volutamente l'iniziativa all'avversario ma sempre controllando le sue azioni fino a cogliere l'attimo in cui applicare la controtecnica.

Bloccare, schivare o assecondare un attacco, cioè utilizzare una tecnica di difesa, può metterci nella condizione di poter condurre con successo un nuovo attacco nei confronti dell'avversario, ma è solamente anticipando l'azione nemica che si realizza correttamente un kaeshi.
Negli altri casi, è più corretto parlare di contrattacco (giaku geki) piuttosto che di controtecnica (kaeshi waza), quantunque a scopo didattico si preferisca utilizzare sempre il termine kaeshi riferendosi alle azioni di attacco-difesa, allo scopo di non generare confusione negli allievi introducendo un concetto di dubbia comprensione.

In altre parole, si ha un kaeshi quando ad un attacco dell'avversario corrisponde un attacco immediato che lo sovrasta, mentre un contrattacco prevede l'utilizzo di una difesa (chowa, go, yawara) prima di eseguire la tecnica voluta. Per quanto veloce possa essere l'esecuzione, c'è sempre un attimo di rottura nell'azione: nel caso del kaeshi, questa rottura non esiste perché la controtecnica anticipa l'azione dell'avversario prima che questi abbia potuto dispiegare per intero il proprio attacco.

I Kata [modifica]

Il judo non è solo tecniche di proiezioni, di immobilizzazioni, di leve e di soffocamenti ma, come numerose altre arti marziali, comprende un insieme di kata. I più conosciuti di essi sono:

* Nage-no-kata (forma delle proiezioni) composto di 5 gruppi (te-waza, koshi-waza, ashi-waza, mae-sutemi-waza, yoko-sutemi-waza)
* Katame-no-kata (forma dei controlli) composto di 3 gruppi (osae-komi-waza, shime-waza, kansetsu-waza).
* Kime-no-kata (forma della decisione anticamente chiamato Shobu (arti guerriere), tecniche di combattimento reale)
* Jū-no-kata (forma dell'adattabilità alla forza nemica)
* Kodokan Goshin-jutsu (forma di autodifesa - formato nel 1956 ad integrazione del precedente Kime no kata)
* Koshiki-no-kata (forma antica-riprende le forme della scuola Kito di jujutsu) *[2]
* Itsutsu-no-kata (forma dei cinque elementi naturali)

Altri Kata meno noti sono:

* Go-no-kata (il primo kata adottato dal judo caduto in disuso dopo la morte di Jigoro Kano)
* Seiryoku-zen'yō kokumin-taiiku-no-kata(forma della ginnastica nazionale del miglior impiego dell'energia).
* Gonosen-no-kata (forma dei contrattacchi - non è riconosciuto ufficialmente dal Kōdōkan di Tokio in quanto creato da Mikonosuke Kawaishi, insegnante di judo in Francia in netto contrasto con il Kodokan di Tokyo).

L'insieme di Nage no kata e katame no kata viene anche definito Randori no kata poiché sono le tecniche applicate nel randori, dal quale sono esclusi gli atemi (colpire di pugno e calci)

Questi kata rappresentano degli esercizi di tecnica, di concentrazione particolarmente difficile e costituiscono la sorgente stessa dei principi del Jūdō. La buona esecuzione di questi kata necessita di lunghi anni di pratica per permettere al judoka di afferrarne il senso profondo.

Il Dōjō [modifica]

Il luogo dove si pratica il jūdō si chiama dōjō che significa "luogo di studio della via", parola usata anche nel buddismo ad indicare il monastero e ciò deve rappresentare un monito: il dojo è un luogo sacro da cui sono banditi comportamenti chiassosi e maleducati. Qui il judo viene praticato su un materassino chiamato tatami. Anticamente in Giappone era fatto di paglia di riso, oggi si usano materiali sintetici purché sufficientemente rigidi da potervi camminare sopra senza sprofondare ed elastici per poter cadere senza farsi male. Per non farsi male è usata l'arte del battere la mano, che consiste nel battere la mano libera dopo essere stati proiettati. Per proiettare si intende cadere in seguito ad una tecnica dell'avversario.

Il tatami utilizzato nelle competizioni deve avere le misure minime di m 14 × 14 e massime di m 16 × 16. Al centro vi è l'area di combattimento di dimensioni minime di m 8 × 8 e massime di m 10 × 10; la bordatura rossa di circa un metro di lunghezza, detta area di pericolo, presente in passato è stata abolita nel 2007.

L'abbigliamento [modifica]

I judoka portano una tenuta chiamata Jūdōgi composta da pantaloni di cotone bianco rinforzato (zubon ) e una giacca bianca di cotone rinforzato (uwagi ) tenuti insieme da una cintura colorata (obi). Dal colore della cintura si può riconoscere il grado e l'esperienza di un judoka. In gara i contendenti indossano una cintura bianca o rossa da sola o in aggiunta alla propria cintura allo scopo di distinguerli e attribuire i punteggi conquistati in gara. Nei tornei e campionati internazionali ed olimpici uno dei due indossa un judogi di colore blu, per essere meglio distinguibili non tanto dall'arbitro quanto dal pubblico, specialmente televisivo.

I gradi delle cinture [modifica]

I gradi sono attribuiti ad un praticante e permettono di valutare il suo livello tecnico, la sua efficacia in combattimento, il suo grado di anzianità così come le sue qualità morali, ciò che corrisponde al rispetto scrupoloso del codice morale così come un'applicazione sufficiente nella pratica.

La classificazione prevede una prima divisione tra Mudansha (non aventi alcun dan) e Yudansha (portatori di grado dan). Le cinture sono state introdotte essenzialmente dagli occidentali per riflettere il grado. Si trovano nell'ordine la cinture bianca, gialla, arancione, verde, blu, marrone e la famosa cintura nera anche se dopo esiste anche la cintura rossa. Esistono anche le "mezze-cinture", utilizzate in Italia per i giovani judoka per segnare la progressione tra due cinture: bianco-gialla, gialla-arancione, arancio-verde, verde-blu e la blu-marrone.La cintura nera può essere tutta nera nel caso in cui appartenga ad un sensei uomo, e può essere nera con una striscia bianca nel mezzo che percorre tutta la cintura nel caso in cui appartenga ad un sensei donna.

Le cinture di colore dal bianco al marrone corrispondono alle classi, chiamate kyu: il 6° kyu è rappresentato dalla cintura bianca fino al primo kyu per la cintura marrone.

Esistono al di sopra dei kyu altri gradi chiamati dan: dal I dan al V dan, la cintura è nera; dal VI dan al VIII dan è rappresentato da una cintura a bande rosse e bianche alternate, IX ,X e XI dan la cintura è Rossa, il XII è rappresentato da una cintura bianca più fine e larga (il motivo di tale scelta è l'idea di congiunzione che si vuole dare fra il massimo livello che si può raggiungere e quello più basso). Il I, II e III dan corrispondono al nome giapponese di Deshi (discepolo), il IV e V dan a Renshi (padronanza esterna), il VI e VII dan a Kyōshi (padronanza interiore), il VIII e IX dan a Hanshi (padronanza interiore ed esterna unificata) ed il X dan a Keijin (tesoro vivente). Inoltre il maestro Jigorō Kanō, stabilì la possibilità di progredire oltre il X dan istituendo l'XI e il XII dan per coloro che trascendessero anche questo obiettivo, ma nessuno riuscì mai a raggiungerlo.

In Italia, i gradi inferiori alla cintura nera sono rilasciati in seguito ad un passaggio di cintura organizzati dal club. Per ottenere i differenti gradi dan di cintura nera si sostengono degli esami di tecnica, teoria e kata davanti ad una giuria regionale, fino al 3° dan, e nazionale per conseguire il 4° 5° e recentemente, anche il 6° dan, oppure guadagnando dei punti durante combattimenti ufficiali in campionati e trofei, fino al 5° dan. Successivamente al 6° dan, in Italia, i gradi vengono conferiti, per meriti federali.
 
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